daniela matteucci - Francesco Vaglica

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daniela matteucci

La poesia dell’esistenza nella pittura di Francesco Vaglica

E’ una passionalità sottile e impenetrabile, e trasparente, e palpitante, 1’autentico sostrato della pittura di Francesco Vaglica. Artista Mediterraneo, porta dentro di se la poesia atavica del mare della Magna Grecia, quel mare che come un essere umano conserva ricordi e respira a fatica. Vaglica offre, a chi intende addentrarvisi, un tipo di pittura densa di riferimenti mitologici e simbolici; ciò che scuote la sensibilità dell’artista si compenetra infatti perfettamente al mondo classico: il ballo (Tango), l’amore e l’estasi (Amplesso), la divinità (Afrodite), la natura del mare (Salsedine), la presunzione dell’uomo di fronte ad esso, quindi la vendetta (Naufraghi). Le diverse tecniche (acrilico, olio, pastello a olio) sono usate dall’artista con sapienza, e creano in superficie un gioco sfaccettato di toni prevalentemente freddi che si ricompongono subito in immagini dissolventi come specchi d’acqua e solide, pulite come il cristallo. Tutte le opere in mostra sono del 1997; Tango è la sfida improbabile di due corpi che si ritagliano emergendo da uno schema di base a chiasmo greco: l’uomo, di spalle, stante ma distratto come il carnefice caravaggesco della prima stesura del Martirio di San Matteo è il punto di fuga proiettato in primo piano. E solo in un secondo momento che si nota l’intreccio delle mani, l’ombra addensata al centro, e la figura della donna dalla testa riversa a destra. Lei è appena accennata, e suggerisce delicatezza e abbandono, opponendosi in un ballo che comunione non è. Dai piani geometrici, solidi perfetti scomposti, memori di una prospettiva e di una solidità che risale al cubismo di Braque, emergono volti che si definiscono a fatica, scorciati, sofferenti: come in Salsedine in cui sembra di ascoltare il canto delle onde da una conchiglia raccolta sulla sabbia. Qui l’essere umano diventa tutt’uno con lo stato naturale, per farsi ritmo, cresta dell’onda, luce immolata; è un colossale diamante che racchiude fantasticamente l’intima essenza di quell’uomo che, come voleva Leonardo, entrava in perfetto accordo con la natura circostante, è il sorriso della Gioconda trasposto nella grigia realtà del nostro tempo. Al sorriso subentra il dolore, lo sforzo di liberazione da tutto ciò che è "scorza" che trattiene la materia "in duri lacci avvinta" (Michelangelo). Ecco quello che accomuna Vaglica alla tecnica e alla formazione da artista del Quattrocento: il voler entrare nell’opera che egli stesso sta creando e che, quasi a focalizzarla, guarda da lontano per definirla a se per primo, e quindi renderla parte di un insieme.

Carità si presenta come un’opera dall’austerità medievale, figura scolpita nella roccia come struttura giottesca, in realtà leggera e mobile come perfetto prodotto contemporaneo. È una figura dal valore universale, una carità intesa come nei primi secoli del cristianesimo, coerente alla pittura catacombale come al bloccato, tragico moto di Guernica. Sulla stessa linea si pone Lottatori, in realtà ballo ideale di uomini in posa. Arti e sagome fuoriescono accennate dal blocco compatto del nucleo di colore blu abisso; l’opera ha prerogativa di bassorilievo classico e suggerisce un che di sfuggente, di misteriosa attrazione che ci riconduce nel fondo dell’oceano. Amplesso è autentico manifesto della parte recondita dell’amore classicamente inteso: la libertà di corpi che come all’unisono con il mare ondeggiano nell’estasi della passione, per ricomporsi e fondersi in unico nucleo. In una dimensione paradisiaca vivono e respirano calcolate quanto svelte scomposizioni lineari, per farsi sfere, piramidi, prismi. Ombre come nubi cariche di pioggia si occultano nell’abbraccio dei corpi, le cui mani raccolgono la luce esterna; mani che si cercano disperatamente, che raccolgono le emozioni sulla pelle, mani stanche abbandonate sulle lenzuola. Il sensibile calcolo cromatico riflette i piani dei corpi, la forma curva delle anatomie, l’intreccio dei respiri, mentre intorno lo spazio si allontana rarefatto.

La pittura di Vaglica può certamente porsi come lo stato nascente di un antico sentimento, come una dolce, cosciente rivisitazione che l’artista per primo ha avuto il dono di poter assaporare, di vivere e di far respirare; calata nell’idea del mito e nella dimensione anacronistica di un mondo remoto eppure così fermamente attuale e presente, portato dentro per cultura genetica e semplicemente perchè di classico sentire.

Daniela Matteucci 1997


 
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