francesco maria fabrocile - Francesco Vaglica

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francesco maria fabrocile

Maniera e avanguardia. Simultaneità del contrasto in Francesco Vaglica.
 
            Passano periodi, fasi compositive, ma una ricerca artistica coerente, attraversandoli, resta sempre se stessa. Dopo i piani ambigui, gli sbarchi, gli accordi armonici Francesco Vaglica studia ora la forma umana come singolo soggetto compositivo, fin nei particolari delle linee, dei lineamenti e fino al ritratto – e all’Autoritratto.
            Un coagulo rinascimentale di temi e stilemi, perché le figure sono corpi universali, antropomorfìe che vibrano secondo consonanze neoplatoniche con sfondi cosmici. Sempre più, nell’arte di Vaglica si impongono l’affermazione della centralità dell’uomo nell’universo, un disegno romano che si rivela in linee posturali di grave possanza, e ancora il sottinsù, il profilo eroico, contrasti tonali e complementarità di registro cromatico veneziano ma tutto questo non è scuola, non è manierismo vieto, controriforma.
            Non lo è, tanto quanto Guido Reni o il Correggio sono dei grandi classici. Perché loro è la lezione che Vaglica fa sempre più propria del classicismo cinquecentesco, da lui appreso  per sedimentazione di vita dopo esser stato formato nell’astrattismo. Quella di Reni: che nelle sue rappresentazioni, sacre e profane, apre l’osservanza del principio di imitazione tanto da spingerla all’appassionato realismo ante litteram di certi ritratti; e quella del Correggio: che sente il fascino dell’infinito prima del Barocco, e lo profetizza, in strutturate e geometriche rappresentazioni di volte e teorie celesti architettate secondo scale di grandezze quasi già consce della matematica frattale.
            Proprio da questi aspetti liminali di quel classicismo Vaglica riparte nel suo percorso artistico, coniugando come nessun altro, in «riconciliazione della disputa tra figurazione e astrazione» (Elise Désserne, 2006), le intuizioni dei maestri del Rinascimento maturo con il lascito estetico delle avanguardie novecentesche, prima tra tutte il cubismo: i piani, lo spazio si misurano non col metro del tempo e del dettato di Euclide, ma nella totalità grandangolare della loro esistenza, sia cromatrica sia volumetrica.
            Ma in fondo anche il futurismo, a un secolo dalla sua nascita (ormai stagionato, per fortuna, nei suoi accenti provincialistici e rissaioli, che restano in archivio) torna a distillare suggestioni figurative necessarie: gli spazi siderali, la resa del movimento attraverso sequenze di colore, la pretesa di abbracciare la totalità di tempo e spazio nella comprensione “simultanea” dell’arte (“simultaneità” non era una parola d’ordine dei Futuristi?), queste sono piste di ricerca battute oggi da Vaglica, in questo oggi in cui l’infinitamente piccolo, come il DNA che determina il disegno di un lineamento, e l’infinitamente grande, come i contorni delle galassie, sono indagati con identici futuristici mezzi di ricerca scientifica. Questa tensione tra micro- e macrocosmo Vaglica la percorre attraversandola con la propria pelle, con la propria pancia, sul filo dell’intuizione (e della tecnica) dell’arte pittorica.

Francesco Maria Fabrocile 2014
            
 
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