Piani ambigui - Francesco Vaglica

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Piani ambigui



I PIANI AMBIGUI
"Piani ambigui"

Potrebbe risultare difficile parlare oggi di arte figurativa e dare un giudizio obiettivo sulla sua recente evoluzione, senza confrontarsi con discorsi spesso erronei e con idee preconcette, di un arte figurativa sempre di più commerciale, obsoleta e decadente. Dalla "nascita" dell'arte astratta con KandinsKy nel 1914 e dalle seguenti proposte dell'arte informale o materica negli anni '40, la figurazione, che da secoli era stata posta al servizio di un'incontornabile didattica, demagogica, politico-religiosa e sociale, fu considerata, nel corso del tempo, una disciplina da accademia, punto di passaggio obbligatorio per il neofita, e in seguito relegata in secondo ordine, rimanendo una tecnica e non una fonte d'ispirazione. Così, numerosi movimenti artistici, e artisti solitari, vi si dedicarono al solo scopo di rivoluzionare e di azzerare ogni forma di regole accademiche, riscoprendo le virtù di una spontaneità di esecuzione, e lottando contro quello che anche Van Gogh definiva con di-sprezzo, una "realtà stereoscopica", cioè l'immagine fotograficamente esatta a quella della natura, rinunciando di conseguenza alla sua imitazione. Tuttavia oggi non e raro osservare che, anche se in questa sicura evoluzione dell'arte e di quella parallela delle tecnologie, quella astratta rimane comunque, per un largo pubblico non "educato" alle arti visive e alla sua storia, una fonte di incomprensione, di non identificazione, lasciando all'arte figurativa un posto vantaggioso. Nonostante ciò, esistono artisti che propongono un dialogo ri-conciliatore, cercando nelle due discipline una stessa risposta.
Uno di questi è Francesco Vaglica che, in questo confuso contesto artistico, da nascita ad una pittura figurativa carica di tensione, punto di incontro tra l'azione ed il silenzio, confermandoci che la figurazione non e un vano esercizio scolastico, ma una ricerca intima, che va oltre qualsiasi moda o regola. Vaglica lavora, guidato dall'emozione che il supporto gli procura; la forma, il segno, e lentamente la tela prende vita. Paul Klee definiva questo momento come un avvenimento quasi metafisico. "Alcun fuoco prende vita, si sveglia, guidandosi lungo la mano conduttrice, arriva al supporto e lo invade, poi chiude, scintilla saltante, il cerchio che doveva tracciare: ritorno all'occhio e al di la". Nell'opera di Vaglica, il soggetto dipinto viene espresso con linee e curve che hanno il sapore dell'infinito. Nello scomporre, fermando l'azione, come negli scatti fotografici di Muybridge, e palese l'intento di disseccare il tempo, scoprendone i misteri.
Nessun elemento aneddotico viene a disturbare l'equilibrio della composizione, che si trova esaltato dall'ambiguità costante dei diversi piani di colore assumendosi come luogo di incontro tra il suo cervello e l'universo.
All'emozione, che provoca la tensione dei muscoli, alle proporzioni accorciate per istallare la figura in uno spazio senza profondità, come in levitazione, si confronta l'espressività passiva dello sguardo, e dei tratti del viso dei suoi personaggi; il centro della ricerca artistica di Vaglica, e la figura umana e le sue potenzialità gestuali, confermando l'intento di fermare l'emozione, forse di controllarla, di cristallizzarla per poi rilasciarne le tensioni, ferme sulla tela, in attesa di scattare nella mente di chi la risente.
La moltitudine di tratti, da all'insieme un impressione di non finito, di studio pittorico, che, attraverso le trasparenze dei diversi piani, ottiene una leggerezza impalpabile, come per contraddire l'esistenza di una qualsiasi fonte energetica pronta ad implodere. Un'energia latente, onnipresente, concentrata in forme geometriche vivamente colorate, come una sintesi della gamma di colori usati, spesso triangolare, mettendo in risalto il centro dell'azione. Una triangolazione quasi architettonica, pietra angolare che sottolinea il centro dell'azione mimetizzandosi perfettamente nelle parole di Klee: "Il colore non e più visibile ma rende visibile". Vaglica, con un gioco di luci ed ombre, crea uno spazio abitato da tratti che ricordano un'antica scrittura primitiva, prendendo forma, un po' come un'equazione matematica in perpetua evoluzione. 

Elise Desserne 2006  (articolo sull'Avanti del 28 aprile 2006)


 
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